Un tragico incidente e un mistero sul numero dei membri dell’equipaggio dell’aereo caduto
Lavis. Proprio oggi ricorre l’80° anniversario di un altro triste evento che ha segnato la storia di Lavis durante la seconda guerra mondiale: la caduta di un Bombardiere Bimotore Americano Mitchell B-25 sulle Colline Avisiane.
Il giorno 21 gennaio 1945 due formazioni composte ciascuna da 6 bombardieri bimotori Mitchel b25, partirono dall’aeroporto di Alesani in Corsica per bombardare la ferrovia nei pressi di S. Michele all’Adige. Nel rientro dopo il bombardamento, fra due aerei ci fu una collisione. L’ultimo aereo della seconda formazione, con sigla U8 investi quello che lo precedeva con sigla P8 e con l’elica distrusse il compartimento del mitragliere di coda e parte della coda stessa.
L’aereo investito, pur con parte della coda tranciata prosegui la sua corsa e riuscì a rientrare alla base di Alesani mentre l’aereo investitore precipitò e andò a schiantarsi nel bosco vicino al Maso Spiazzol.
Il racconto di un testimone
Nel gennaio del 2001 avevo conosciuto un testimone oculare dell’incidente, il sig. Severino D. che mi raccontò il fatto. Il signor Severino mi portò anche nel bosco sul luogo della caduta dell’aereo dove era ancora presente l’avvallamento nel terreno provocato dall’impatto del muso dell’aereo. Ecco la sua testimonianza:
Pochi attimi dopo la collisione vidi nel cielo due puntini scendere velocemente: erano due membri degli equipaggi che si erano gettati dagli aerei. Ad uno sfortunatamente il paracadute non si aprì e cadde nel bosco vicino al Maso Sette Fontane. Lo sfortunato aviatore venne poi sepolto a fianco della chiesetta di San Valentino. L’altro invece, con il paracadute aperto, scese dolcemente e riuscì ad atterrare incolume ma fuori dalla mia vista. Subito andai sul posto dove era caduto l’aereo assieme ad altre persone. Vennero estratte, da quello che restava della carlinga, due persone che però erano già morte. Non riuscimmo a recuperare gli altri corpi dai grovigli dell’areo perché questo nel frattempo aveva preso fuoco. Nell’incendio incominciano anche a scoppiare le munizioni delle mitraglie. A questo punto ci raggiunsero anche altre persone e tra queste anche l’uomo sceso con il paracadute: era l’unico non conosciuto, vestito in abiti civili e, mi ricordo, con un berretto chiaro. Nella confusione del materiale sparso attorno notammo un piccolo cuscino con disegnata una croce rossa. Il cuscino venne raccolto da un signore che lo passò ad un altro che aveva una podina (piccolo coltello ricurvo), con questa tagliò un lembo del cuscino e vedemmo che era pieno zeppo di banconote di vari tipi. Il tipo allora lo chiuse e se lo mise sotto la giacca allontanandosi velocemente. Probabilmente quei soldi dovevano servire agli aviatori per pagarsi la fuga in caso incidente durante le missioni. Dopo un po’ di tempo arrivarono anche un ufficiale tedesco con alcuni soldati e ci fecero allontanare. Io tenevo in mano l’elmo e le cuffie del pilota che avevo raccolto: mi presero l’elmo però mi lasciarono le cuffie. I soldati tedeschi vennero messi di guardia affinché nessuno si avvicinasse ai relitti dell’aereo. Nel pomeriggio del giorno seguente venne scavata una fossa lì vicino dove furono sepolti i 6 corpi dell’equipaggio recuperati tra i resti dell’aereo. Alla tumulazione ero presente anch’io assieme a molte altre persone tra le quali anche l’uomo sceso con il paracadute che avevo visto il giorno prima.
Il testimone di Palù di Giovo
Nel 2005 riuscii a documentare il racconto di un altro testimone del fatto, Quinto P. di Palù di Giovo.
Ricordo che c’era una persona fra di noi estranea, che raccolse un ciuffetto di capelli di un morto. (Quest’uomo era il membro dell’equipaggio che si salvò lanciatosi con il paracadute). Feci aggiustare l’orologio, e lo indossai. Dopo la fine della guerra venni a conoscenza che a Trento c’era un comitato che per conto dei famigliari dell’equipaggio dell’aereo caduto cercava se ci fossero degli effetti personali di questi. Io consegnai l’orologio. Dal nome inciso sul retro venni a sapere che apparteneva proprio al pilota dell’aereo caduto, il Tenente William Simpson. L’orologio venne consegnato alla madre. Ebbi una corrispondenza che durò per diversi anni con lei che abitava nell’Ohaio. Lei in segno di gratitudine mi mandava spesso anche dei dollari e dei generi alimentari. Nell’occasione dell’anno Santo nel 1950 mi scrisse che era intenzionata a venire a Roma e che sarebbe passata anche in Trentino. Mi chiese anche se ero disponibile ad accompagnarla a vedere il luogo nel quale mori suo figlio. Purtroppo improvvisamente i contatti si interruppero senza darci il tempo di incontrarci.
I documenti ufficiali
Nelle ricerche successive sono riuscito a trovare anche alcuni documenti dell’esercito americano che parlano di questo incidente. Questi documenti, una volta riservati, sono stati pubblicati su un sito internet dell’aviazione americana e descrivono dettagliatamente tutte le missioni dei bombardamenti effettuati nel nord Italia negli anni che vanno dal 1943 al 1945. Tra questi c’è anche una relazione che descrive il bombardamento di s. Michele del 21 gennaio 1945. Il documento riporta che:
(Relazione sull’azione del bombardamento a S. Michele, estratta dal sito americano del: NARA USA 340th Bomb Group, 488th Bomb Squadron)
I conti non tornano
Stando a quanto descritto dalla relazione ufficiale dell’aviazione americana nell’incidente ci sarebbero state 7 vittime: il mitragliere dell’aereo 8P e tutto l’equipaggio dell’aereo 8U che risulterebbe composto da 6 membri.
Secondo le testimonianze raccolte effettivamente ci sarebbero state 7 vittime: una sepolta accanto alla chiesetta di S. Valentino e sei sepolte nella fossa comune che è stata fatta scavare nelle vicinanze del luogo di impatto dell’aereo. Ma nelle testimonianze raccolte c’è anche l’aviatore che si è salvato con il paracadute. Con questo abbiamo una persona in più che non risulterebbe sulle relazioni ufficiali.
Fine Prima Parte
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