La perdita di biodiversità nasce prima di tutto dai nostri modi di pensare
TRENTO. M49 è di nuovo in fuga, come hanno raccontato i giornali di tutta Italia. Su J14 pende un’ordinanza di abbattimento. Prima ancora sono stati uccisi KJ2 nel 2017 e Daniza nel 2014. Tutto questo deve fare insorgere una riflessione in merito a quella che è la posizione dell’uomo all’interno del territorio che lo ospita.
L’ospite padrone
In termini di biomassa l’essere umano rappresenta solo lo 0,01 % della vita sulla terra, eppure sta decidendo della sorte di tutte le altre specie presenti, se è vero che un milione di specie animali e vegetali (ovvero una su otto di quelle conosciute) sono a rischio di estinzione nel breve periodo e che ogni giorno scompaiono dalla Terra sino più di cinquanta specie.
Alcune specie, come l’orso, sono considerate “scomode”, in quanto ritenute non produttive o in apparente contrasto con le voglie di espansione e controllo dell’essere umano. Di fatto stiamo scegliendo quali animali lasciare e quali eliminare o contenere, interpretando gli spazi naturali come dei prolungamenti delle nostre città. Basti pensare che l’attuale massa di tutti gli animali da fattoria del mondo ha ampiamente superato (si parla di circa sette volte) quella di tutti gli animali selvatici (balene ed elefanti inclusi).
Le decisioni stabilite a tavolino, a differenza di quelle prese di nascosto all’ombra dei boschi (comunque gravi), possiedono un forte significato educativo al quale non si dà abbastanza importanza. Vanno a plasmare i pensieri di chi è in fase di crescita, che resta come influenzato dagli echi mediatici. Il rischio concreto è di avere delle generazioni non più in grado di vivere in sintonia con quanto abbiamo intorno, come di fatto si sta già osservando.
Il Trentino e l’orso
Ogni luogo possiede le proprie storie. Se in Trentino ci sono contrasti con alcuni orsi considerati “troppo confidenti”, ma che in realtà fanno semplicemente gli orsi e che si adattano alle nuove situazioni che l’uomo ha messo loro di fronte, in India, nel Bengala occidentale, ci sono dissapori con alcuni elefanti che transitano lungo antichi corridoi di spostamento dove, nel mentre, sono sorte piantagioni.
Nel libro “L’orso non è invitato – gli animali, l’uomo, la scomparsa dalle biodiversità sulla Terra”, edito da Infinito edizioni e appena uscito in libreria, cerco di fare comprendere come la perdita di biodiversità sia prima di tutto di natura culturale, e nasca dalla mancata consapevolezza di essere una parte di un mosaico più vasto; nonché dall’avere perduto un rapporto immediato di causa-effetto.
Se è intuitivo comprendere come la biodiversità possa scomparire a seguito di una pressione mirata, ad esempio per impadronirsi di qualche cosa che gli animali possiedono (i corni nel caso dei rinoceronti, le ossa nel caso delle tigri, la bile nel caso degli orsi dal collare), più sottile è rendersi conto di come ciò possa avvenire a seguito di azioni indirette, ovvero di piccoli comportamenti quotidiani che vanno a modificare gli spazi che ci circondano, anche distanti rispetto al luogo in cui viviamo.
Globalizzazione e biodiversità
In un mondo globalizzato, dove tutto è interconnesso, le nostre scelte possono espandersi nello spazio, tanto che i gas serra che emettiamo qui minacciano gli orsi polari o i pinguini imperatore dall’altra parte del mondo. È anche per questo che la situazione è particolarmente grave e tutto sta avvenendo molto velocemente.
Solo per fornire qualche numero, dal 1970 al 2014 si è evidenziato un calo del sessanta per cento dell’abbondanza delle popolazioni di vertebrati sulla Terra. La biodiversità si sta riducendo ad una velocità da cento a mille volte più elevata rispetto al ritmo naturale. Un ritmo più veloce di quello che, sessantacinque milioni di anni fa, ha portato alla scomparsa dei dinosauri.
Tutto è possibile, basta volerlo. Per citare Greta Thunberg, “se le soluzioni sono così impossibili da trovare dentro un sistema che abbiamo creato, forse dovremmo prendere in considerazione l’ipotesi di cambiare il sistema stesso”.
Quello che già esiste, che è intorno a noi, può indicarci la strada da seguire. La storia dell’orso in Trentino, ma anche quella del lupo, che racconto ricostruendone le vicende, può permetterci di capire come la vita sia potente e, se messa nelle condizioni di poterlo fare, sia in grado di riprendersi.
È solo una questione di scelte e di priorità. Il maggiore ostacolo alla convivenza con le specie selvatiche, così come quello che impedisce alle diverse forme di vita di essere presenti secondo le loro potenzialità, è forse rappresentato solo da noi stessi.
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