A 125 anni dalla tragica fine ripercorriamo la storia di questa sfortunata giovane vittima della gelosia
MEZZOLOMBARDO. Era pensierosa Leonilda Mottes la sera di quel giovedì 26 settembre di centoventicinque anni fa. Stava salendo, come faceva da molto tempo, il sentiero che da Mezzolombardo porta a Fai della Paganella (anche se allora, siamo nel 1895, il paese si chiamava solo Fai: l’attributo ‘della Paganella’ venne aggiunto in pieno boom turistico, negli anni ’50 del Novecento), diretta a casa dei genitori nella frazione Villa, a raccogliere i suoi effetti personali.
Era quasi giunta al termine del sentiero che, inerpicandosi sulle falde del Giuel, portava gli abitanti dell’epoca dal popoloso centro rotaliano al piccolo villaggio di montagna. Uno stretto sentiero che si snodava con un impegnativo dislivello sulle rocce calcaree del monte, costeggiando, verso il punto di arrivo alla periferia del paese dell’altipiano, il Rio di Valle, torrentello che scendeva verso Mezzolombardo nell’omonima valle, fra suggestivi scorci alpini. Proprio verso la fine vi erano due passaggi pericolosi da superare e ogni volta che la ragazza li percorreva il suo cuore batteva forte per la paura, anche se Leonilda, il suo nome di battesimo, significava “forte guerriera, leonessa in battaglia”. Il primo passaggio era il bus dela vecia e il secondo un tratto di sentiero oscuro anche di giorno, a causa del fitto intreccio dei rami dei pini che creavano una sorta di tenebrosa galleria vegetale.
Due passaggi pericolosi
L’anfratto, che qualcuno chiamava anche “località ala vecia”, era una cavità non molto profonda che appariva all’improvviso a destra del sentiero, per chi saliva da Mezzolombardo, su un ripido tornante di roccia. In realtà Leonilda Giovanna, nata il 24 giugno 1880 alle 5 del mattino da Giuseppe e Fiorina Tonidandel e battezzata nella chiesa parrocchiale di San Nicolò lo stesso giorno, padrino il mugnaio Tezzele Pietro, padrina Mottes Albina contadina, aveva imparato a mostrare maggior attenzione alla parte del sentiero che precedeva il bus dela vecia, uno stretto budello con a lato una scarpata scivolosa che finiva in un profondo abisso scavato nella roccia dal rio di Fai nei millenni. Infatti sul sentiero, a sinistra di chi saliva, la sensibilità dei parenti aveva scolpito in loro memoria i nomi dei due giovani che erano caduti giù nell’abisso trovandovi la morte. Il primo, Antonio Banal di Andalo, quasi ottanta anni prima di quel giorno, il 26 ottobre 1815; il secondo, Giovacchino Tonidandel, nel 1849.
Sulla cupa fama del sentiero e delle cadute accidentali ebbe modo di scrivere il dottor Pietro Donati, medico condotto a Mezzolombardo dal 1873 al 1888, nel suo saggio “Topografia e statistica medica pel comune di Mezzolombardo” dato alle stampe nel 1888. Scrive l’insigne redattore, che fu anche Presidente dell’Accademia degli Agiati, che “…per caduta perirono nientemeno che 49 persone, la maggior parte precipitando dalle rupi soprastanti il paese nel salirvi a coglier legne o fogliame, dalla Valle del Rì lungo il sentiero che conduce a Fai…”.
Le preoccupazioni di una giovane quindicenne
Ma non era questa la preoccupazione che in quel giorno occupava la mente di Leonilda. Lei, che era a servizio di una famiglia benestante di Mezzolombardo, aveva in animo di andarsene “all’estero” a far fortuna, anche se avrebbe dovuto lasciare la sua famiglia e un giovane con il quale aveva iniziato da tempo una relazione amorosa.
E fu proprio il giovane spasimante, tale G.B.M., lavoratore di 19 anni di Mezzolombardo, che raccontò che quel giorno l’aveva accompagnata sin lì e che l’aveva rimproverata per quella sua decisione di partire e allontanarsi da lui. Lei aveva risposto furiosa a quelle parole e gli aveva dato uno schiaffo in faccia. Il giovane allora aveva perso la pazienza e la aveva colpita alla nuca con il bastone che gli serviva per aiutarlo a camminare perché zoppo, facendola sanguinare fino a lasciar tracce sul terreno. Leonilda però aveva continuato a camminare sul sentiero, fino a perdere conoscenza e cadere a terra: preso dal panico credendola morta, il giovane la aveva trascinata a lato fra i cespugli e, raccomandando la sua anima a Dio, era fuggito poi di corsa a casa sua a Mezzolombardo.
Non vedendola tornare il giorno, dopo la signora Micheletti, presso la cui abitazione Leonilda era a servizio, aveva mandato a chiedere notizie al padre che, sconfortato, aveva ipotizzato che alla figlia fosse successo un disgraziato incidente e fosse caduta per disattenzione nell’orrido del Rio di Valle. Arrivato disperato sul posto, dalle tracce di sangue sul terreno l’uomo aveva intuito che era avvenuto qualcosa di terribile. Indirizzando le ricerche nella forra, 15 metri più sotto venne trovato il corpo della sventurata ragazza.
Un delitto passionale
La versione dell’accaduto data dal fidanzato alle autorità dell’I. R. Giudizio Distrettuale di Mezzolombardo non convinse. Il ragazzo fu da subito sospettato come possibile autore dell’atroce gesto e venne arrestato il giorno successivo. Il suo racconto si trasformò così in una completa confessione con il penoso motivo, addotto come attenuante, di essere stato mosso a violenza, oltre che dal rifiuto alla sua richiesta di non partire, anche da un morso al polso. La visita medica avrebbe appurato poi la presenza di almeno sei ferite gravi alla testa di Leonilda, probabilmente qualcuna dovuta alla caduta sulle rocce del precipizio, nel quale quasi sicuramente venne spinta dal giovane per occultarne il corpo.
Molti periodici a stampa dell’epoca seguirono con attenzione sin dall’inizio la vicenda, con informazioni sulle versioni, a volte contraddittorie, raccolte nei due paesi, sino a dare la notizia nel dicembre 1895 della condanna a 15 anni inflitta all’uomo, pena così ridotta per l’attenuante della giovane età.
Una lapide in ricordo della giovane
Oggi, a distanza di centoventicinque anni, il percorso che per oltre un secolo vide il movimento di persone da e verso la comunità di Fai, che dal 1810 al 1818 era stata aggregata al Comune di Mezzolombardo, è divenuto un sentiero escursionistico della Società Alpinisti Tridentini, esattamente il numero 602, ed è molto frequentato dai camminatori che intendono salire da Mezzolombardo sino al monte Fausior, godendo di imperdibili scorci sulla piana, della fresca ombra in estate e degli intensi e caldi colori autunnali della faggeta che ne delimita il termine.
E quando il cammino arriva allo stretto passaggio dove la pietà di chi conobbe la giovinetta collocò la lapide con la scritta in suo ricordo “UN REQUIEM/O PASSEGGIERE/PER LA VIRTUOSA/GIOVANETTA/MOTES LEONIL=/DA, DA FAI/CHE AI 26 SETEB/1895/DA CRUDEL MANO/FU QUI ASSASSI=/NATA/NELA VERDE ETA’/D’ANI 15”, il pensiero si ferma a quel lontano momento di triste e drammatica follia che pose fine alla “verde età d’ani 15” alla vita della sfortunata ragazza.
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Fai diventò parrocchia nel 1926. Prima era una Pieve della parrocchia di Mezzolombardo.
E’ vero; Fai, dapprima assieme a Zambana, era curazia dal 1751 dipendente dall’arciprete di Mezzolombardo e divenne parrocchia solo l’11 luglio 1935, anche se già da fine ‘800 aveva assunto una sua forte indipendenza grazie anche al beneficio Spaur. Il curato che battezzò Leonilda lo stesso giorno di nascita fu don Francesco Martinelli.
Ringrazio per la gradita notizia essendo il pronipote di Mottes Leonilda. Avrei piacere di conoscere il fautore dell’articolo.
Buon pomeriggio Vittorio, grazie per il suo commento. Siamo contenti che il nostro lavoro venga gradito. Abbiamo inoltrato il suo commento e i suoi riferimenti all’autore dell’articolo, Bruno Kaisermann di Mezzolombardo.
Buona domenica.