In uno dei momenti più bui della storia dell’umanità ci sono stati tanti piccoli gesti eroici che hanno provato a portare sollievo e speranza
Lavis. Uno dei ricordi che la famiglia di mia mamma si tramanda è un episodio poco conosciuto della seconda guerra mondiale che riguardava mio nonno Silvio Odorizzi sfuggito rocambolescamente alla cattura dei tedeschi attraversando a nuoto il fiume Adige.
I giorni del Rebaltòn
1.Era la mattina del 9 settembre 1943, i tedeschi piombarono sulla città di Trento da Lavis. Spararono subito e ben 48 soldati italiani verrero uccisi. I primi a cadere furono i militari di guardia alla caserma di Corso degli alpini seguiti poi da quelli di istanza alla caserma Cesare Battisti ove era inquadrato mio nonno. Nei momenti di trambusto generale lui e altri commilitoni si diedero alla fuga. Degli otto soldati che avevano attraversato l’Adige solo lui riuscì a fuggire verso il Bondone. Per mesi rimase nascosto presso maso Paierla sopra Pressano, aspettando che le acque si calmassero assistito da amici che gli avevano dato ospitalità.
Leggi anche – Il lavisano che visse la rivoluzione russa
Quel giorno gran parte dei catturati furono internati nei lager nazisti. In Italia furono ben 700.000 i soldati che vennero fatti prigionieri e molti di loro furono caricati sui treni per la Germania. Essi furono denominati dai tedeschi con l’acronimo IMI: Internati militari italiani. Catturati nelle caserme italiane o sui fronti di guerra all’estero dopo l’8 settembre 1943, in seguito alla proclamazione dell’armistizio del Governo Badoglio con gli Alleati.
I tedeschi, sentitisi traditi, non vollero qualificare quei soldati come “prigionieri di guerra” in modo da privarli dell’assistenza degli organi internazionali previsti dalla convenzione di Ginevra del 1929. Hitler infatti aveva promesso un “castigo esemplare” agli italiani, rei di essere venuti meno al patto di alleanza. Per questo il trattamento che ricevettero fu terribile e spietato.
Quella sera dell’8 settembre 1943, le parole del maresciallo Badoglio illusero per un attimo gli italiani che la guerra fosse finita. La fuga in tutta fretta del re Vittorio Emanuele III, l’abbandono dei ministri e dello Stato Maggiore dell’esercito e la fulminea azione della Wehrmacht con l’operazione Achse (Asso), fecero precipitare il Paese nel caos e in una delle più difficili situazioni della sua storia (nel dialetto trentino quei giorni vengono ancora ricordati con il termine “El Rebaltòn”).
Le deportazioni
2.I Tedeschi si erano preparati all’eventualità dell’armistizio sin da luglio e avevano inviato in Italia 15 nuove divisioni in aggiunta alle 3 già presenti. In Italia gli episodi di resistenza furono isolati diversamente da quanto accadde a Corfù e Cefalonia. Piccoli combattimenti si accesero al Brennero, a Piombino, all’Elba, a Durazzo, in Corsica, a Roma, a Trento e a Rovereto ad opera di reparti isolati. Molti militari sfuggirono alla cattura con l’aiuto determinante della popolazione.
Ecco qui di seguito il racconto del soldato semplice il bolognese Sangiorgi Arturo:
Dopo i convulsi e confusi momenti della cattura il viaggio verso la Germania è il contesto della presa d’atto della realtà della prigionia nel disorientamento collettivo. Per i più sfortunati il viaggio durò fino a quindici giorni, poiché i treni, entrati nel territorio del Reich non avevano più precedenza e rimanevano fermi sui binari morti. Talvolta sostavano in aperta campagna per permettere ai prigionieri di fare i bisogni fisiologici. Ma in molti casi i vagoni non venivano aperti fino alla destinazione, costringendo i poveri soldati a condizioni degradanti.
Leggi anche – Lettera a mia nipote. Quando a Lavis passavano i treni verso i campi di concentramento
I piccoli grandi atti di eroismo
3.Angoscia e frustazione colpirono indistintamente veterani con anni di guerra sulle spalle e giovani, appena usciti dalla famiglia, chiamati alla leva a fine agosto 1943. Nelle stazioni di transito tra Verona e Bolzano la popolazione che si affollava sui binari riuscì a passare qualche alimento di conforto ai prigionieri e a raccogliere i messaggi per i loro cari.
Tra queste persone volonterose e portatrici di amore e speranza c’era mia nonna Frida Mosca, futura moglie di Silvio. Frida era nata a Pressano e durante la guerra si era trasferita con tutta la famiglia a Egna per lavorare come mezzadri presso un maso della zona. Il comune di Egna in epoca fascista era entrato a far parte, assieme a Bronzolo, Cortaccia, Magrè all’Adige, Montagna, Ora, Salorno, Termeno e Trodena, della provincia di Trento. Questi territori dovevano subire l’assorbimento dell’elemento tedesco autoctono per unirsi con l’italiano Trentino.
Nel settembre 1943 Frida aveva 19 anni e lavorava come aiutante presso la mensa della Wehrmacht alla stazione di Egna. In quei giorni dopo l’armistizio le cose si erano messe male, l’atteggiamento dei soldati tedeschi era cambiato.
L’Operationszone Alpenvorland
4.In data 10 settembre 1943, il Führer infatti aveva ordinato l’occupazione delle province di Trento Bolzano e Belluno da parte del Terzo Reich, andando a costituire la Operationszone Alpenvorland, ovvero la Zona operativa delle Prealpi. L’area era affidata al commissario supermo Franz Hofer, il quale aveva pieni poteri, compreso quello di vita e di morte: egli rispondeva solo e direttamente a Hitler.
Dopo l’8 settembre le autorità naziste si preoccuparono immediatamente di ingrandire il Sudtirolo a spese della provincia di Trento inglobando così a sua volta i comuni di Rumo, Fondo, Bronzolo, Ora, Montagna, Trodena, Egna, Capriana, Salorno, Magrè all’Adige, Cortaccia e Termeno.
Con la costituzione della Zona operativa delle Prealpi, iniziò la deportazione degli ebrei avallata dalla politica fascista che in virtù delle leggi razziali del 1938 aveva preparato le liste della popolazione ebraica. In Italia fu proprio in Alto Adige che si verificarono i primi arresti di ebrei e quindi la loro deportazione, e per la maggior parte dei casi passavano per il campo di transito di Bolzano.
I messaggi scappati dai treni
5.Dai racconti di mia nonna Frida sappiamo che anche a Egna le tre famiglie di ebrei che allora abitavano in paese vennero deportate verso i campi di sterminio. Indelebile nei suoi ricordi è la figura di un vecchio ebreo costretto a portare una catasta di legna e lungamente percosso dai soldati che lo insultavano mentre aspettava di essere caricato sui carri bestiame con destinazione i campi di sterminio nazisti.
Nel suo operare presso la stazione di Egna Frida oltre che a porgere qualche alimento di conforto riuscì a raccogliere centinaia di bigliettini lanciati dai soldati italiani prigionieri in transito sui treni verso la Germania. La sera, al lume di candela, ricopiava il contenuto dei bigliettini su delle lettere indirizzate ai famigliari rassicurandoli con la speranza e l’amore dei propri cari:
Passaggi d’amore: bigliettini e storia che la memoria ha tramandato fino a noi.
Forse ti può interessare anche:
-
Mezzolombardo e la Grande guerra in una serata dell’Associazione Castelli del Trentino
Nell'incontro in sala Spaur si parlerà.
-
Pressano, sconfitta e tanto rammarico: Fasano rimonta al Palavis
Una sconfitta "da mangiarsi le mani”.
-
I ragazzi alla scoperta del territorio con la Sat di Lavis
Anche quest'anno i volontari della sezione.
-
Il passaggio generazionale in agricoltura
A Lavis una serata con l'esperto.
-
Numismatica fra Rotaliana e Valli del Noce con l’Associazione Castelli del Trentino
Il secondo appuntamento di "Pagine di.
-
“Un sogno a cinque cerchi” fa tappa anche in piana Rotaliana
Quattordici serate nelle valli del Trentino.
Mio padre era un soldato Italiano preso prigioniero dai Tedeschi e Deportato in Germania, riusciuto a fuggire dalla prigionia in Germania e a rientrare a casa.
Quanti Soldati italiani sono riusciti a scappare dalla prigionia Tedesca dalla Germania?