Morirono in sei, uccisi da un bombardamento alleato 76 anni fa. Pochi giorni dopo l’Italia sarebbe stata liberata
ALL’ALBA DELLA LIBERAZIONE… …Inizia così la scritta della lapide posta nel 1946 sulla facciata della casa a Mezzolombardo, dai familiari superstiti della luttuosa giornata dell’8 aprile 1945. Per liberazione si intende quella dall’occupazione nazista che si concretizzò nei primi giorni di maggio di settantasei anni fa. Ma il prezzo pagato dalla famiglia Kaisermann e da altri tre civili la domenica in Albis del ’45 fu elevato. E una serie incredibile di beffarde coincidenze, viste a posteriori, aggiungono amarezza e rimpianto alla già grande sofferenza sopportata in quel giorno.
La famiglia Kaisermann conduceva a mezzadria (masadori) il maso Cavazzani a Nave San Rocco e a Mezzolombardo in via Trento, in località Bersaglio aveva una piccola casa dove si lavoravano i portainnesti (resi) per le viti, attività che occupava i familiari e alcuni contadini del paese: Quella domenica piena di sole erano tutti fuori casa a chiacchierare, seduti su balle di paglia appoggiate al muro a secco che delimita la stradina laterale che sale al Bandieron.
Le bombe degli alleati
Si viveva dentro un periodo di vita che faceva i conti con le continue incursioni aeree alleate che miravano a bombardare la ferrovia del Brennero, e in particolare il Ponte dei Vodi a Lavis. L’offensiva anglo-americana contro la Germania si concentrava oramai nell’Italia settentrionale con il determinante sostegno dell’aviazione, che muovendo dalle basi situate nel sud d’Italia e in Corsica, svolgeva missioni di bombardamento su obiettivi militari ma anche verso infrastrutture viarie e ferroviarie. La ferrovia del Brennero era uno di questi obiettivi; si puntava a ostacolare il rifornimento tedesco da nord verso il fronte di combattimento.
A partire dai primi di settembre del 1943 tonnellate di bombe degli “alleati” si riversano al suolo facendo danni a cose ma anche a persone, civili inermi e indifesi. Le sirene laceravano l’aria a tutte le ore del giorno e della notte per lanciare l’allarme e la gente correva disperata verso i rifugi antiaerei, dove passava ore, giornate, una parte di vita. Alla ferocia militare tedesca si oppone la violenta prepotenza aerea anglo-americana, e, in mezzo, a farne le spese, le famiglie di contadini, operai, impiegati, di gente comune, bambini la cui infanzia o adolescenza verrà per sempre segnata da ricordi di dolore e sofferenza.
Un giorno che ricordo molto bene
Riportiamo brevemente la testimonianza di Guido Dalrì, un sopravvissuto di quella terribile giornata:
La voce di alcuni adulti ci invitava a venir via dalla campagna e correre nel rifugio…io con Maria Luisa Zenari, di dodici anni, andai verso il rifugio fermandomi però all’esterno e all’improvviso un rumore forte e Midi, così la chiamavo per gioco, era a terra, morta, decapitata da una scheggia di bomba scoppiata lì vicino…pezzi di lei erano sui miei vestiti, sulle mani…mio padre mi tirò via di lì…
Altri corpi però giacevano a terra: fra questi Dario di nove anni, suo nonno Paolo di 84, Arrigo di 16, Guglielmo 33 anni compiuti proprio quel giorno! Pareva invece solo ferito gravemente alla testa Camillo, padre di Dario e figlio di Paolo, tanto che andò a bagnarsi la fronte alla fontana, gridando di aiutarlo a soccorrere figlio e padre, ma inutilmente… anche lui morirà alle 16 di quel pomeriggio, all’ospedale, per la terribile ferita.
Le 13 e 17 dell’8 aprile
Ecco la testimonianza anche di Anna Maria figlia di Camillo:
i miei fratelli Marcello e Renzo erano feriti come me ma non in modo grave e fummo portati all’ospedale… invece mio fratello Dario stava morendo per le gravi ferite alla testa e mia madre disperata cercava inutilmente di rianimarlo con un po’ d’acqua, mio nonno era morto, mio padre morì nel pomeriggio… in un minuto avevo perso nonno, padre e fratello!
Lo scoppio con lo spostamento d’aria che ne segue danneggia gravemente la casa lasciando macerie e vetri rotti dappertutto. Altre persone che si erano riparate alla bell’e meglio sfuggirono miracolosamente alla morte: erano le 13 e 17 di domenica 8 aprile 1945, ora e data che rimarrà un indelebile segno nella vita dei superstiti.
Da alcuni anni Guido Dalrì in collaborazione con il Comune di Mezzolombardo e i Vigili del Fuoco, dei quali è componente onorario, organizza un momento commemorativo di questa ricorrenza, con una messa in suffragio dei concittadini morti, paradossalmente a pochi giorni dalla fine delle ostilità.
Una bomba, sei morti
Ritorniamo a quel giorno: i bombardieri avevano sganciato bombe anche sulla città di Trento, avendo come bersaglio la ferrovia in città. Ma è il ponte dei Vodi l’obiettivo principale delle incursioni sulla valle dell’Adige: alla fine della guerra si conteranno ben 240 bombardamenti con circa 10.000 tonnellate di bombe cadute al suolo, ma è nei primi mesi del 1945 che gli attacchi aerei si intensificano. Per questo motivo la famiglia Kaisermann appena può scappa dal Maso alla Nave, troppo vicino a Lavis e ai Vodi, e si rifugia a Mezzolombardo nella sua casa in località Calcara (detta anche al Bersaglio, poiché lì nel periodo austro-ungarico vi era il casino di tiro degli Schützen).
In quel maso, il 30 aprile dell’anno precedente, la famiglia aveva festeggiato le nozze d’argento di Camillo e Elvira Martinazzi, originaria di Taio, assieme ai loro cinque figli Paola, Livio, Renzo, Annamaria, Dario. Quel giorno, ma loro senz’altro non lo avranno saputo poiché le notizie non circolavano velocemente come oggi, a Padova nel rione Terranegra gli aerei alleati fecero 180 morti fra i civili, bombardando le loro case. La squadriglia americana arrivata in cielo dalla Rocchetta, era ad un’altezza di 28.500 piedi, circa 8,6 km, e aveva come possibile “alternative target” il ponte della ferrovia a San Michele; passando sopra Vigo di Ton, lanciò il suo carico di 24 bombe del peso di 1.000 libbre ciascuna, circa cinque quintali, in direzione del ponte mancando però l’ obiettivo!
Non tutte scoppiano e solo 22 vengono rilevate dai ricognitori nel rapporto della missione aerea numero 453; cadono nel bosco, nelle campagne, nei prati attorno al colle di San Pietro: c’è chi sostiene che qualcuna di queste sia ancora in qualche valletta boscosa attorno al colle. Infatti cinque inesplose restarono sul posto per molto tempo, tant’è che i bambini ci giocarono pericolosamente prima che fossero disinnescate e portate via. Una di queste, caduta nel bosco vicino alla casa del macellaio Pietro Tait (el Pero trana), sotto al colle del Bandieron, mesi dopo verrà fatta scivolare giù verso la stalla per gioco, rischiando di fare altre vittime.
Le schegge delle bombe uccidono in pochi momenti tre generazioni di Kaisermann, due bambini e un uomo di Mezzocorona, proprio nel giorno del suo compleanno, e che forse era lì per acquistare i portainnesti: sei vittime in pochi minuti.
Sopravvissuto
Una delle schegge viene recuperata e gelosamente conservata da Guido Bert, altro testimone oculare, all’epoca dodicenne, sopravvissuto alle bombe e spentosi nei giorni scorsi a causa del Covid; l’aveva incorniciata con la narrazione di quanto successo quel giorno, frutto dei suoi ricordi sull’accaduto. Leggiamo anche la sua testimonianza:
solo dopo tanti anni ho avuto la piena consapevolezza di come ero stato fortunato quel giorno…
I famigliari ricordano
I bombardieri americani, in sigla B-17, le cosiddette Flying Fortress (pare che il nome di Fortezza Volante sia stato dato da un giornalista che vide volare i primi prototipi), erano di stanza all’Airfield di Lucera-Cerignola nelle Puglie, un aeroporto militare temporaneo costruito dagli ingegneri dell’esercito americano non appena le truppe presero possesso della pianura pugliese. Il gruppo che seminò morte e distruzione a Mezzolombardo, era denominato Y 301ST BG (H) dove BG sta per Bombardment Group (gruppo bombardieri) e H per Heavy (pesante); era composto da 4 squadriglie: la 32nd, 352nd,353rd e 419th; assieme ai gruppi 2, 97, 98, 99 costituiva la 5a divisione aerea – 5th Air Division – in forza alla Quindicesima Air Force creata il 1 novembre 1943, come seconda forza aerea strategica americana per il teatro di guerra europea.
Il B-17 era stato progettato in Usa nel 1938, montava quattro motori Wright Cyclone, aveva un’apertura alare di circa 32 metri, lunghezza di 22, un peso a vuoto di oltre 16 tonnellate, una velocità massima di circa 460 km/orari; questo modello di bombardiere, del quale vennero costruiti oltre 12.700 esemplari, nel secondo conflitto mondiale scaricò quasi la metà di tutte le bombe rovesciate sui teatri di guerra europei. I bombardieri erano affiancati da aerei caccia di scorta, di solito P-51 Mustang e P-47 Thunderbolt, come difesa dagli attacchi dei caccia della Luftwaffe.
Ma i dati tecnici purtroppo, non spiegano molto di quanto successo quel giorno: si trattò di errore umano o deliberata, scellerata scelta, che anziché andare a colpire un obiettivo bellico andò a sconvolgere lo scorrere della già difficile vita degli abitanti della “Calcara”? Probabilmente non lo sapremo mai. L’anno successivo alla tragedia, i famigliari trovarono la forza d’animo per apporre una lapide commemorativa sulla facciata della casa di via Trento, dove tuttora si trova, chiosando nell’esergo “nel I anniversario i famigliari ricordano/ unendo il loro dolore al dolore dell’umanità/ perché sia dato al mondo giustizia e amore”, ammirevole segno di condivisione del loro dolore, ancora oggi presente e forse proprio per questo ancora più significativo. (b.k.)
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