Quando nascere nella Settimana Santa era una questione da ricchi

La festa di una nascita turbata da una vecchia usanza che metteva in difficoltà le famiglie meno abbienti

Lavis. Era il 1955. Mamma e papà si erano sposati a maggio dell’anno prima e con trepidazione attendevano la mia nascita. Era il tempo in cui non si conosceva in anticipo il sesso del nascituro e i giorni del parto erano calcolati approssimativamente dall’ostetrica, moderna per quei tempi.

Papà aveva già preso accordi col Comune per far partorire la mamma in tutta tranquillità e discreta sicurezza nella Maternità annessa all’allora Infermeria Mista, ora RSA. A quei tempi molte nascite avvenivano in casa e se l’ambiente familiare poteva avere un che di intimo, non era sicuro dal punto di vista dell’igiene, dell’eventuale tempestivo aiuto di un medico o della possibilità di raggiungere l’ospedale in caso di imprevisti.

Tutto pronto


Mamma aveva preparato il corredino: camicini, magliette, fasce ombelicali, teli, berretti, cuffiette, manopole. Tutto in tono primaverile e con colori neutri. Infatti l’ostetrica Ines aveva predetto per Pasqua la mia nascita: il 10 aprile. E così….quasi fu. Il mercoledì sera, 6 aprile, arrivarono le prime deboli avvisaglie, che verso mezzanotte furono più intense, tanto che papà da Pressano scese a Lavis con la Lambretta a prendere l’ostetrica, la quale confermò che il momento era arrivato!

Immediatamente dopo papà portò la mamma alla Maternità di Lavis, dove le suore la fecero sistemare a letto. Poi salì nuovamente per prendere Ines e portarla accanto alla mamma per assisterla durante il parto. Sembravano de Sica e la Merlini in Pane Amore e Fantasia… Quindi papà tornò a casa da nonna che aveva cominciato a recitare il Rosario. Verso le sei del mattino, dopo poche ore di sonno, si svegliò… con una strana sensazione… Prese la Lambretta e partì alla volta di Lavis. La sorpresa fu grande nel sapere dalla suora di turno che aveva appena avuto una bimba. Non potè entrare, ripartì e prese la strada che lo portò al lavoro in segheria.

Una giovane Eliana qualche anno dopo

Un’usanza dispendiosa


La tradizione voleva che chi aveva una nascita nella Settimana Santa dovesse battezzare la creatura il giorno di Pasqua, con un corteo di parenti, padrini, l’ostetrica (comare), e… nota dolente per i meno abbienti… con pure un agnello o capretto da donare al celebrante. In quei giorni il parroco avrebbe fatto il giro delle case per benedire ed avrebbe ricevuto uova, galline, conigli… Papà era un semplice operaio, senza campi né animali. Solo due galline nutrite di soli avanzi di cucina. Una spesa come da tradizione sarebbe stata un debito da estinguere nel tempo che lo obbligava a parecchie ore di lavoro straordinario.

Che fare? La sera dello stesso giorno, il 7 aprile, papà e mamma si consultarono e decisero che non era il caso di sostenere tale spesa.
Nonna Angelica Sala e nonno Innocenzo Pilati erano d’accordo ed erano i padrini. Gli altri in famiglia invece era dubbiosi: la tradizione, la bella figura, le chiacchiere della gente… Mamma e papà però erano decisi: non si compra né agnello né capretto. Ma dove battezzare allora se tutta Pressano si aspettava l’animaletto? In parrocchiale a Lavis nemmeno parlarne e aspettare l’Ottava a Pressano sarebbe stato uguale.

Il caso venne in loro aiuto. Davanti alla camera delle degenti passavano i ricoverati che si recavano nella chiesetta a recitare il Santo Rosario e papà ebbe l’intuizione: “Qui, la battezziamo qui!”. Era raggiante e… risoluto. Corse subito in chiesa, parlò col cappellano, che commosso non credeva a tale proposta: “Qui, dove sostano anziani spesso dimenticati e pure qualche defunto in attesa di sepoltura, è un dono di Dio avere una nuova vita!”

Accordo fatto, si battezza


Papà annunciò la sua idea alla mamma, anche lei felice, e poi corse alla storica pasticceria Varner per acquistare un bel po’ di biscotti di seconda scelta. Quindi salì a Pressano e si fermò da zio Silvio, cantiniere e compagno di imprese alpinistiche, il quale –  sentito il racconto – commosso gli regalò due bottiglie di ottimo vino bianco.

Era quasi tutto pronto. A nonna Angelica non sembrava vero poter portare lei gli indumenti che erano pronti per il battesimo.
La mattina di Pasqua un piccolo corteo partì alla volta di Lavis: padrini, parenti, qualche amico, e… curiosi alle finestre.
Papà in Lambretta portò vino e biscotti. Tutti erano diretti verso la chiesetta della casa di riposo. Una volta arrivati, per tutti fu necessaria una spolverata a vestiti e scarpe (la strada era ancora bianca..) e poi entrarono per la celebrazione del “mio battesimo”.

Una festa insolita


Nel frattempo le suore avevano preparato mamma e me e poi con il permesso della madre superiora erano andate negli orti del circondario chiedendo i migliori fiori per abbellire l’altare, il presbiterio e la teca con dentro Maria Bambina adornata di gioielli ex voto, soprattutto delle partorienti in difficoltà.

Nonna Angelica mi accomodò nel sacco. La chiesa era piena di tutti i ricoverati che potevano in qualche modo muoversi. Le suore indossavano l’abito nero delle grandi ricorrenze. I presenti intonarono pure qualche canto in latino, come nelle grandi occasioni che nella chiesetta della casa di riposo erano ormai un ricordo.

Papà, finita la cerimonia, assieme a una suora accompagnò mamma e me in camera e poi corse nelle camere dei degenti a letto. Offri ad ognuno qualche biscotto e un dito di vino bianco.

E così fu festa inaspettata all’Infermeria Mista e un po’ di delusione a Pressano.
E la dispendiosa tradizione cominciò a venir meno, grazie a mio papà, Enrico Sala.

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