Racconti di donne a Lavis (prima puntata)

La storia è sempre stata costruita da un punto di vista maschile. Maschi erano gli storici che se ne occupavano, fin dai tempi di Erodoto e Tucidide. Ma maschi erano anche i sovrani che vedevano nella storia lo strumento perfetto per costruire la narrazione di sé: per lasciare ai posteri un racconto, più o meno veritiero, di quello che è successo.

Poi qualcosa è cambiato. Sulla spinta di piccoli o grandi movimenti di piazza, dagli anni Settanta del Novecento si è iniziato a costruire una storia più inclusiva, con le donne che sono diventate protagoniste come gli uomini di ciò che si raccontava. Sia quando erano costrette a vivere un ruolo di retroguardia, imposto dalla società dei tempi. Sia quando invece riuscivano a uscirne, per influenzare gli eventi e i cambianti culturali dei loro tempi. Le donne hanno sempre fatto la storia, ma per secoli gli uomini hanno deciso di non raccontarlo.

L’iniziativa


Tutto questo riguarda la grande storia raccontata nei libri. Ma riguarda anche la vita di tutti noi, con i frammenti del nostro passato che rischiano di perdersi per sempre, se non decidiamo di conservarli. Per questo l’assessora Caterina Pasolli del Comune di Lavis si è ispirata a un’iniziativa molto simile della circoscrizione del Bondone, con un’idea che poi è stata condivisa dall’assessora Isabella Caracristi e dal resto della giunta.

L’intento era di chiedere alla popolazione di Lavis di condividere alcuni di questi frammenti, piccole storie o dediche con le donne come protagoniste. Tutto quanto da pubblicare su queste pagine.

ilMulo.it


ilMulo.it è nato proprio con questo scopo. Volevamo creare un giornale di comunità, con Lavis come centro principale. Per contribuire a raccogliere online le storie di paese, per creare un confronto fra generazioni e mantenere vivo ciò che rischiava di perdersi. Per riuscirci, era fondamentale che i lettori potessero partecipare attivamente, vivendo questo giornale come se fosse una piazza di paese, in cui ci si trova per confrontarsi.

In questa prima parte, condividiamo con voi alcuni degli scritti che ci sono arrivati (altri arriveranno nelle prossime puntate). Gli autori hanno scritto ciò che si sentivano di scrivere: ci sono storie di donne e storie di paese, ma anche dediche, ricordi o citazioni. Per evitare di farla diventare una raccolta enciclopedica, abbiamo dovuto fare qualche taglio e qualche selezione: per questo ci scusiamo con gli autori. Abbiamo fatto anche qualche intervento di editing, per garantire un minimo di uniformità fra i frammenti.

Era fondamentale che questa raccolta fosse leggibile, come se fosse un libro di paese, da sfogliare una domenica pomeriggio. O un insieme di storie da raccontarsi intorno a un falò, con le donne che finalmente hanno il loro ruolo. Da protagoniste. (d.e.)


PS: questa raccolta non ha nessuna pretesa di completezza. Sfogliando i vari racconti che sono arrivati, ognuno di noi ha pensato ad altre donne che andrebbero raccontate per quello che hanno fatto o hanno rappresentato. Sarebbe bello che ci fossero altre occasioni per farlo.



La signora delle punture

di Fulvia Albertini

1.L’ho incontrata la settimana scorsa. Anna Girardi era a passeggio con la badante per le vie di Lavis. La signora Anna svolgeva un utile servizio per la comunità, andando a domicilio, dove servivano le iniezioni come metodo di cura. Ho un ricordo indelebile di lei, soprannominata da noi bambini “la signora delle punture”, veniva infatti a casa nostra quando avevamo bisogno delle punture (ricostituenti). Per questo noi ne avevano il terrore e il suo arrivo indicava che .. si doveva scappare!!

Come mio fratello, che si faceva rincorrere attorno al tavolo di cucina e ci si nascondeva sotto, tentando di sottrarsi, senza risultato, a quella tortura. E la paura era così tanta che scappavamo a gambe levate anche quando la incontravamo per strada. Anni dopo, quando Anna veniva solamente per fare le punture ai mei genitori, era comunque guardata con sospetto da noi ormai adolescenti, anche se non avevamo più bisogno, per fortuna, dei “ricostituenti”.


Beatrice Ramus

di Nadia Michelon

2.Qui non troverete gesta eroiche o azioni che hanno segnato la storia, o almeno non quella che trovate sui libri. Però qui c’è la storia della nostra vita, quella di due sorelle.

Queste poche righe vogliono essere un ringraziamento a una donna, madre e nonna attenta e generosa. Le fatiche degli anni passati non hanno mai intaccato il suo donare amore a tutti coloro che le orbitano attorno, rendendosi sempre disponibile ad accogliere ogni nostra richiesta di aiuto (soprattutto se non richiesta ☺).

Ha un approccio burbero talvolta, un viso corrugato dal vissuto non sempre roseo, ma se non ci si lascia intimorire dalla sua finta corazza, si scopre una donna con un grande cuore. Grazie mamma!!


Caterina

3.
«Vorrei insegnarti la scrittura, Marcus, non perché tu possa imparare a scrivere, ma affinché tu possa diventare uno scrittore. Scrivere romanzi non è una cosa da niente: tutti sanno scrivere, ma non tutti sono scrittori».

«E come si fa a sapere di essere uno scrittore, Harry?».

«Nessuno sa di essere uno scrittore, Marcus. Glielo dicono gli altri».

Rubo ad un bel libro queste poche parole per Caterina, che ha creduto in me come in tanti altri giovani: la fiducia che sai riporre negli altri non insegna a scrivere, ma a diventare scrittori. È grazie a te che, anche senza un racconto e senza uno scrittore, sono qui con qualcosa da raccontare.

*La citazione, virgolettata, è stata presa dal libro “La verità sul caso Harry Quebert”, Joël Dicker, Bompiani (2013)


Ciò che valgo

di Debora Simonazzi

4.Sono cresciuta nell’era delle principesse in attesa del principe azzurro, dell’idea che le ragazze potessero studiare, ma poi non sarebbe stato necessario che lavorassero. L’8 marzo o giorni precedenti, ci hanno sempre raccontato la storia dell’albero di mimose fuori dall’azienda in fiamme, evitando di andare oltre. Ci invitavano a trascorrere la serata in discoteca, senza approfondire il perché di questa ricorrenza.

Sono nata però anche in una famiglia dove la nonna calabrese ha abbandonato la sua terra d’origine pur di non dover fare da serva alla cognata (destino riservato alle donne che non si erano sposate prima dei 30 anni) per sposare uno sconosciuto di un piccolo borgo di una delle regioni più a nord della nazione (e a quel tempo era come un pianeta lontano).

Ha avuto coraggio, (istinto di sopravvivenza?), voglia di autonomia, caparbietà, forza. Caratteristiche che senza saperlo, ha trasmesso a me.

La mia indole testarda e determinata, mi ha portato a prendere tutto ciò che volevo, lottando con i denti se necessario, scontrandomi spesso con amici e genitori pur di sostenere le mie idee. Sono diventata la prima presidentessa donna della Consulta Provinciale degli studenti, dopo dieci anni di egemonia maschile, a 23 anni mi sono costruita una famiglia e ora ho delle possibilità (e degli oneri) in ambito lavorativo non indifferenti.

In estate facevo due lavori, pur di mettere da parte i soldi per mantenere i miei capricci durante i periodi di studio. Non ho mai rinunciato a nulla, ma me lo sono sempre guadagnato. Sono stata viziata da papà e ora lo sono da Alex, mio marito, ma come dice sempre mio padre “ognuno ha ciò che si merita”, nel bene e nel male direi io. Noi siamo quello che vogliamo essere.

Da mamma di tre figlie femmine ho cercato di trasmettere loro l’importanza dei valori e della lealtà agli stessi, dell’autonomia, dell’onestà, della determinazione, del sostegno da e verso gli altri, del credere nei propri sogni, seppur piccoli, del non mollare mai.

Lungi da me essere classificata femminista, anzi ritengo quasi offensivo il fatto di dover ricorrere alle cosiddette “quote rosa”, ma credo che una donna, con fatica, con più difficoltà (data anche spesso dalla gestione famigliare), possa arrivare dove sono gli uomini.

Le statistiche dicono che durante la pandemia, e non solo, le mamme abbiano rinunciato al lavoro più dei papà. Ripetono spesso che le donne, a parità di livello, percepiscono uno stipendio inferiore (cosa che da gestrice di buste paga, mi sembra assurda). Ma ragazze, svegliamoci! Noi siamo le artefici del nostro successo, noi possiamo decidere se la situazione in cui ci troviamo fa al caso nostro o sarebbe meglio cambiare. Noi abbiamo la forza di partorire, di gestire la casa, i figli, i mariti, i genitori, gli amici, il lavoro, gli impegni (nostri e degli altri) e abbiamo ancora voglia di avere delle passioni.

Ho solo 30anni, tre figlie, un marito, una forte responsabilità in azienda, e sono convinta che senza il mio carisma le cose sarebbero peggiori e questo gli altri lo sanno…

No, non è arroganza, ma la famosa consapevolezza di ciò che valgo. Questo è il mio augurio per voi. Alzatevi e dimostrate, in primis a voi stesse, chi siete, solo allora lo capiranno anche gli altri.
Si, abbiamo voglia di avere un principe al nostro fianco, ma non perché sia necessario. Ora, forza andiamo a conquistare il mondo (che può essere anche un bacio rubato al mattino, un piccolo gesto che ci fa sentire felici). Noi possiamo tutto!

Buona festa della donna a tutte voi!


El filò dela Posta Vecia

di Elda Brugnara

5.Mi chiamo Elda, sono nata a San Lazzaro. Nel 1962 con la mia famiglia ci siamo trasferiti in centro a Lavis in una casa che mio padre aveva acquistato alcuni anni prima. Il portone di via Matteotti 12 era chiamato “Posta Vecia” perché ‘sti ani c’era la fermata delle carrozze. Cavalli e cavalieri si riposavano nelle stalle e si dissetavano alla fontana interna al cortile per poi ripartire con la posta e i pacchi.

Mio padre, Angelo Brugnara, ristrutturò l’appartamento per la nostra famiglia composta di sei persone. Per noi era un privilegio avere finalmente un bagno privato in casa! Due sorelle si erano già sposate e quindi eravamo rimasti in due sorelle e due fratelli.

L’appartamento aveva una bella e ampia terrazza che dava sul cortile interno. Lì c’erano il tavolo e alcune sedie. Mi ricordo le serate nei giorni di primavera e in estate, quando ci trovavamo lì a chiacchierare, al fresco, con la mia mamma Lidia. Poi pian piano scendeva la Paolina dal piano di sopra, quindi si aggiungeva anche la Giustina dell’appartamento di fianco e infine arrivava anche l’Amabile; a volte si affacciava sul suo poggiolo anche la Emma che con la sua voce forte raccontava le sue novità e così si componeva il filò della Posta Vecia.

Nel 1970 mi sono sposata. Sono rimasta a vivere Lavis e potendo ho mantenuto la tradizione: la sera andavo su in paese, al fresco, con i bambini. Quando è venuta a mancare la mia mamma però si è interrotto il filò, mi è rimasto il ricordo della Posta Vecia e ancora oggi quando passo davanti al portone mi viene voglia di entrare.

Ma niente è più come una volta.


La banca da lavar

di Onorio Bassoli

6.Dopo la mesa dele sète
con en braz de calzoti
en par de ninzoi de moleton
en fila gio per la scaleta
dopo el pont, le done de
la Nave le neva n’l’Ades a
lavar.

Le se spegiava sora l’acqua
color del ciel, n’dinociade
come se lepregas, sora la
banca da lavar.
Ogni tant, le cantava canzone de
ciesa e le se domandava cosa fente
da disnar.
Le gaveva le face more brusade
dal sol.

Le doprava en saon che spruzava da
gras de vaca, ma le braghe quando
le èra sute,
le saveva en bòn odor.
Gh’era n’l’aria en profumo de
oleandri e le rondole le ghe
sfiorava el nas. Le veste longhe che
scoergeva i pei.

Noi boci che giraven entorno,
con en man na sfròsena,
descolzi, dent en l’Ades.
Mama che bèl che l’èra.
Ascolteme dal Paradis perché
sta novela lei dedicada a ti.


Maria Elisabetta Vindimian

di Paolo Facheris

7.Credo che se tornasse Maria Elisabetta Vindimian, contribuirebbe senz’altro a celebrare la festa della donna; lo farebbe però in modo sobrio, senza pretese e velleità ideologiche. Perché lei era così: schiva, refrattaria a riconoscimenti di qualsiasi tipo.

È facile e bello oggi ricordare la ricchezza delle sue doti umane, la capacità di risolvere con eccezionale senso pratico i problemi reali e immediati. Si adoperava con passione e dedizione nel sociale, nella politica, nell’amministrazione pubblica, sempre attenta agli altri, in particolare alle persone più fragili e deboli.

Sempre attiva, in movimento perenne, ha saputo essere per i tanti che hanno avuto la fortuna di conoscerla, un punto di riferimento prezioso. La sua straordinaria generosità l’ha portata a mettere a disposizione la sua notevole professionalità non solo nell’ambito lavorativo, ma anche a beneficio di progetti di sviluppo locale come nel caso di Prijedor, cittadina della Bosnia Erzegovina martoriata dalla sanguinosa guerra fratricida negli anni 90.

Ha dato molto alla comunità di Lavis: una migliore vivibilità attraverso il potenziamento del trasporto pubblico con l’autobus 17; una maggiore consapevolezza e sensibilizzazione ambientale con gli ecovolontari, il Carnevale Riciclone; un’attenzione fattiva e costante alla solidarietà internazionale attraverso il progetto Solidali per la Solidarietà e tante altre piccole ma importanti azioni sempre indirizzate a favorire una comunità più attiva e responsabile.

Mi piace spesso passeggiare lungo la camminata recentemente intitolata a Elisabetta, arrivare poi al tiglio a lei dedicato, cosi da poter saltare il piano e recuperare il ricordo più intimo e personale di Elisabetta, l’amica indispensabile, con una sensibilità e generosità fuori dal comune che ha lasciato un’eredità preziosa e impegnativa, da non dissipare o tenere nascosta ma da spendere a favore della comunità, in particolare di chi ha più bisogno, senza distinzioni di credo o etnia, come lei voleva e sapeva fare.

Elisabetta era una bella persona. Elsabetta è sempre con noi, nel ricordo e attraverso l’esempio della sua vita.


La cuoca dell’asilo

di Flavia Brugnara

8.Il mio primo giorno di lavoro all’asilo di Lavis è stato il 23 gennaio 1977 (ora si dice scuola materna). In quegli anni, la scuola si trovava in via De Gasperi, vicino all’oratorio, in un edificio di tre piani. C’erano le suore canossiane e il presidente era Angelo Picciocchi.

Nell’estate del 1977 c’è stato il trasloco alla scuola nuova in via dei Colli. Siamo andati a comprare la cucina nuova per la scuola e le pentole girando per i vari negozi e cercando il prezzo più conveniente con il presidente, l’altra cuoca Elda Michelon e l’aiutante Cristina Dalvit.

La scuola nuova è stato un grande cambiamento, gli spazi erano più grandi e in cucina eravamo in tre, c’era un grande giardino con giochi e spazi per i bambini. Io decidevo il menù settimanalmente e pensavo ad andare a fare la spesa, un anno al Sait e un anno al Paoli.

Il cartellone del menù me lo portavo a casa e lo facevo con mia figlia Mariangela. Qualche bimbo correva in cucina nel pomeriggio a chiedere se avanzava qualche budino.

C’erano 250 bambini, oltre alle le maestre. Iniziavo la mattina alle nove e finivo alle cinque del pomeriggio. In occasione delle feste mi piaceva moltissimo vedere i bambini allegri anche se, quando facevamo le uscite, avevamo un po’ l’ansia al pensiero di perderne qualcuno.

Negli anni Ottanta avevamo fatto una festa al Parco urbano con i genitori e la banda. Tutti i bambini erano vestiti in maschera e i costumi per ogni bambino li avevamo fatti noi del personale e le maestre. Ricordo le feste dei nonni a scuola e le feste di fine anno.

Si facevano gite e per muoversi tutti quanti si doveva prenotare un tram completamente per noi. Ho visto i bambini diventare grandi e portare a loro volta i figli a scuola. Ho lavorato per 20 anni in quella scuola ed ho ricordi bellissimi, ricordo tantissimi bambini che ora incrocio per strada cresciuti e che mi salutano.

Qualcuno ancora mi dice che le polpette come le mie non le ha più mangiate.


FINE PRIMA PUNTATA

(continua…)